“Tu che sei psicologa”…quante volte chi fa questo tipo di lavoro se l’è sentito dire. Alle volte in modo sinceramente curioso o desideroso di un parere od un consiglio, altre nella sua declinazione più critica e giudicante del “proprio tu che sei psicologa”. La verità è che, nonostante questo mestiere ci porti inevitabilmente a lavorare su noi stessi, ad acquisire strumenti e a raggiungere un certo grado di consapevolezza, non siamo supereroi. Non siamo immuni a malumori, giornate no, fragilità, difficoltà con noi stessi e nei rapporti con gli altri.
Questo articolo nasce dalla volontà non di difendere a spada tratta la categoria (che comunque essendo fatta di persone è molto variegata) ma di avvicinare maggiormente la figura dello psicologo alle persone. Sì, perché spesso lo psicologo viene visto come colui che è distaccato, che non viene toccato personalmente dai problemi e che per questo è in grado di offrire soluzioni e strategie esterne per affrontare le difficoltà portate dai pazienti. In realtà ci sono diversi approcci che sostengono proprio questo ma anche altrettanti stili di relazione terapeutica diversi, ciò che mi interessa portare è il mio personalissimo punto di vista.
Sfatiamo qualche mito
Innanzitutto lo psicologo è umano e in quanto tale è portatore di una propria storia, di vissuti più o meno complessi, ed è immerso in una rete di relazioni in cui destreggiarsi. Proprio per questo, in particolare durante la scuola di specializzazione per diventare psicoterapeuti, lavoriamo molto su noi stessi mettendoci in gioco in prima persona. Chi infatti non è disposto a toccare con mano le proprie di ferite come può pensare di potersi anche solo avvicinare a quelle degli altri?
Ecco allora che mi sento di far crollare il mito del terapeuta come perfettamente equilibrato ed immune a qualsiasi turbamento, che riesce a tenere sotto controllo le proprie emozioni e i propri pensieri. Ciò che un terapeuta impara nel tempo è gestire i suoi aspetti di fragilità ed “usarli” in modo che siano utili alle persone con cui si troverà ad intraprendere un percorso terapeutico.
Uno dei più bei complimenti che ho ricevuto rispetto agli articoli che scrivo è quello di essere empatica. Innanzitutto perché nella scrittura inevitabilmente attingo a ciò che sperimento e vivo in maniera più o meno diretta e mi fa estremamente piacere che questo traspaia, inoltre è bello sapere che le persone non percepiscano la mia figura di professionista come lontana ed estranea.
Lo psicologo non è neanche un amico
Quando si inizia questa professione, sperimentandosi nei diversi tirocini, credo che una paura comune sia quella di non venire presi veramente sul serio. Allo stesso modo quando si cominciano a vedere i primi pazienti in studio e si è giovani si teme di non avere agli occhi del paziente la credibilità che si vorrebbe. Il rischio è infatti quello di venire percepiti quasi come degli amici con cui fare una chiacchierata e ricevere qualche consiglio. L’empatia e la vicinanza emotiva però non devono confondere la natura del rapporto. Il terapeuta non è e non sarai mai un amico. Il legame terapeutico che si instaura può essere davvero prezioso per entrambi ma perché sia utile è altrettanto importante tenere sempre a mente il tipo di contesto in cui ci si trova. Questo non significa mantenere una distanza che porta ad imbarazzo e rigidità ma gestire la vicinanza emotiva che si viene a creare in modo diverso.
Perché è importante chiedere aiuto?
È una domanda apparentemente banale ma che per ognuno ha un significato diverso. Purtroppo ancora oggi spesso chi va dallo psicologo è visto come quello “strano”, che ha qualcosa che non va, un po’ “matto”. Chiedere aiuto in realtà richiede una buona dose di consapevolezza di sé e delle proprie fragilità, il coraggio di volersi bene e di usare tutti gli strumenti e le risorse a propria disposizione per stare meglio e per non rassegnarsi all’insoddisfazione e al malessere. Non c’è niente di male a rivolgersi ad un professionista per questo, anzi denota forza di volontà e coraggio nel volersi prendere cura di se stessi non delegando a nessun altro la responsabilità di decidere per la propria vita.
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